Presentiamo un articolo scritto da Roberto Gatti nel lontano 1991, che ci presenta i principi che dovrebbero regolare la gestione del cinghiale e  che è ancora interessante e attuale oggi nel 2003. 

 

 

                   

                      IL  CINGHIALE

               DA  PROBLEMA  A  RISORSA

 

Con un elevatissimo tasso di natalità il sempre più diffuso suide crea anche problemi alle colture agricole. Consigli per una gestione scientifica, economica, intelligente ed utile di questo animale.

 

 

Sul numero  di gennaio della rivista è stato pubblicato un articolo di Blaz Krze sulla gestione del cinghiale.Con la chiarezza e l’efficacia che lo contraddistinguono, Blaz ha indicato alcuni fondamentali elementi che occorre considerare nella gestione di una risorsa come quella rappresentata dal nostro suide. L’Autore non ha peraltro dimenticato di evidenziare i problemi che questo animale può rappresentare, né le possibilità di intervenire per renderli meno acuti.

Un articolo indubbiamente prezioso per tutti coloro che vogliono fare qualcosa anche nella nostra realtà venatoria, la quale purtroppo continua a stagnare di fronte ad un quesito tanto elementare quanto arretrato sotto il profilo gestionale: il cinghiale è un problema, oppure è una risorsa?

Alle soglie di una nuova stagione venatoria, vorrei riproporre alcune riflessioni.

Il cinghiale è un animale che sembra creato apposta per far scoppiare contraddizioni di questo tipo: ha un tasso d’incremento elevatissimo, ha un impatto molto appariscente ed immediato sulle colture agricole, si incrocia col maiale domestico producendo ibridi fecondi.

Queste caratteristiche sono sufficienti per fare letteralmente  esplodere il “ problema cinghiale”, quando manca un criterio scientificamente corretto di gestione, cioè nella quasi totalità del nostro territorio nazionale.

Devo dire che, per nostra fortuna ( di noi cacciatori), gli imprenditori agricoli non hanno le idee chiare e si sono limitati, almeno fino ad oggi, ad auspicare una campagna di sterminio dei cinghiali.

Attraverso questa loro posizione, riconoscono, in fondo, una verità: il potenziale distruttivo della caccia italiana. Tuttavia, considerata la normativa vigente che impone un arco di tempo molto limitato per il prelievo venatorio, si arrangiano come possono, magari facendosi giustizia da soli.

Gli agricoltori hanno fino ad ora ignorato la possibilità di avanzare la richiesta di interventi di corretta gestione venatoria della popolazione di cinghiali, onde limitare il fenomeno dei danni. Non hanno quindi mai chiesto ai cacciatori di impegnarsi per tentare di svolgere un ruolo sociale che loro competerebbe ( né i cacciatori si sono mai candidati a svolgere questo ruolo).

Il “problema cinghiale” rimane pertanto irrisolto.

Proviamo ad analizzare la realtà odierna. Quello che tenterò di descrivere vale per la maggior parte del nostro territorio e fornisce un quadro, relativamente ai danni in agricoltura, desolante.

Meno drammatico però di quanto potrebbe essere, perché nel nostro Appennino molte zone sono ormai abbandonate; perché i pochi agricoltori rimasti hanno scarso potere  contrattuale o vengono tacitati con risarcimenti assistenziali, spesso sovradimensionati al reale danno subito ( il che significa; sperpero del denaro pubblico).

     Da questa premessa i cacciatori non escono certo assolti anche perché, alla fine di ogni inverno, immettono clandestinamente un certo numero di scrofe gravide sul territorio.

Questi animali, normalmente acquistati da allevamenti abusivi, possiedono un patrimonio genetico assai dubbio, nel senso che la quasi totalità è incrociata col maiale domestico e quindi determinano, anno dopo anno,  un peggioramento della popolazione sotto il profilo della purezza della razza. Questo fatto, a sua volta,  determina un aumento potenziale dei danni alle colture agricole.

Procedendo nella descrizione del quadro, arriviamo all’ estate ed all’ autunno, per assistere alla realizzazione di censimenti (  quasi sempre fasulli) e quasi mai effettuati per comprensori omogenei, bensì per singole riserve, autogestite o altro.

Il risultato inevitabile è un piano di abbattimento a casaccio e comunque fatto solo su base numerica e mai strutturato per sesso    e per classi d’età.

All’apertura della stagione venatoria entreranno poi in funzione le “squadre” che, col sistema delle battute, abbatteranno in modo inevitabilmente indiscriminato gli animali che si presenteranno alle poste.

Il risultato ultimo di siffatto prelievo sarà un abbattimento casualmente paritario tra i sessi, ma certamente sbilanciato nelle varie classi di età.

Al problema dell’ibridazione col maiale si aggiungerà così anche la destrutturazione sociale ( allargamento esagerato della base della piramide della popolazione e diminuzione della sua altezza, come scriveva Blaz Krze nell’articolo citato all’inizio) e quindi anarchia nella popolazione di cinghiali ed ulteriore fattore di rischio per i possibili danni alle colture agricole.

   Il cerchio si chiude con la liberazione di altri animali per evitare una diminuzione numerica che la caccia ha determinato.

   In queste condizioni il cinghiale è, e rimane, un problema!

   Stando così le cose, si potrebbe dire molto sull’etica venatoria, ma non è di questo che volevo parlare. Vorrei invece immaginare uno scenario diverso, per simulare le diverse conclusioni a cui si potrebbe  approdare.

a)      All’interno di comprensori omogenei di gestione, vengono effettuate precise rilevazioni della consistenza della popolazione di cinghiali presente prima e dopo le nascite,

b)      Viene formulato un piano di prelievo rigoroso, sia per quanto riguarda il numero, sia per il rapporto tra i sessi, sia per le classi di età ( non si intacca la parte centrale della piramide in quanto essa rappresenta la struttura portante della popolazione).

c)      Si utilizza la caccia di selezione con l’uso della carabina a canna rigata al fine di avere  una massima flessibilità d’intervento in tutte le situazioni di rischio reale o potenziale per le colture agricole. Successivamente, nel periodo fissato dal calendario usuale, si opera un prelievo anche con il sistema delle battute. Si completa ( se necessario) il piano di prelievo, sia qualitativamente che quantitativamente, ancora con la caccia di selezione.

d)      Ciascuna Unità di gestione ( autogestita o altro ) deve intervenire per potersi garantire   la sua quota di abbattimenti, con interventi di gestione sul proprio territorio ( punti di alimentazione all’interno del bosco, posa di sistemi temporanei di prevenzione dei danni ecc. ) facendo così risparmiare una buona dose di denaro pubblico.

e)      A fine stagione la consistenza è tale da non aver bisogno di immissioni ( peraltro illegittime e quindi punibili ) e la popolazione è al riparo da rischi di degenerazione genetica. In questo ipotetico scenario il cinghiale diventa una risorsa! Perché allora non si agisce in questo modo? Sono circa dieci anni che ce lo stiamo chiedendo. Speriamo soltanto che i cacciatori, fatta la loro parte, chiedano all’Ente pubblico di fare la sua. .

 

Sono circa dieci anni che ce lo stiamo chiedendo. Speriamo soltanto che i cacciatori, fatta la loro parte,  chiedano all’Ente Pubblico di fare la propria.

            ( Da “CACCIA  e PESCA” del 10  ott. 1991)